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ITINERARIO STORICO-ARTISTICO DEI PAESI DEL VERSANTE ORIENTALE DEI NEBRODI

L’itinerario di seguito proposto segue la strada statale SS116 RANDAZZO-CAPO D’ORLANDO, con deviazioni sulla SP110 (e SP115) per raggiungere Montalbano, sulla SP152 per raggiungere il centro di Tortorici e sulla Sp136 per Raccuja.

SANTA DOMENICA VITTORIA

A 1080m s.l.m., avamposto nebroideo in posizione panoramica sulla Valle dell’Alcantara e con eccezionale vista dell’Etna

CENNI STORICI
Santa Domenica originariamente fu territorio feudale di Roccella Valdemone (dopo esserlo stato di Randazzo), ma nel 1628-31 il marchese di Roccella e principe di Maletto Francesco Spatafora Crisafi vendette questa porzione del marchesato (diverse contrade e borghi rurali) alla famiglia Pagano (che lo ebbe fino al 1710), diventando signoria a sé stante. In seguito fu dei Di Giovanni Alliata, principi di Villafranca, che avevano feudi e incarichi di prestigio a Messina. L’appellativo Vittoria le fu dato nel 1864, per evitare l’omonimia con altri comuni italiani, in memoria di Donna Vittoria Di Giovanni Alliata, per il suo mai dimenticato sostegno a favore dello sviluppo del paese.

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Una passeggiata per le viuzze di Santa Domenica Vittoria inizia lasciando la principale Via Libertà (la Nazionale, Ss116), e percorrendo la via Giovanni XXIII fino ad incontrare la Chiesa Madre, con robusto campanile annesso. All’interno della chiesa, con pianta a tre navate, spicca un fonte battesimale in marmo con lo stemma degli Principi di Villafranca (la chiesa fu elevata a parrocchia nel 1776 sotto Donna Vittoria); in fondo alla navata di destra vi è la venerata statua del patrono S. Antonio Abate (solenni festeggiamenti nel mese di Settembre). Di fronte si erge ancora il settecentesco palazzo baronale (la Torre), rimaneggiato nel tempo e in parte restaurato, e di cui si può notare lungo il fianco est lo sviluppo e la parte del baglio con acciottolato originario e botteghe e magazzini dove si conservavano i prodotti del Feudo. Da qui si percorrono le Vie Firenze e S. Maria Ausiliatrice, nel quartiere Pertichigna, dove ci sono piccole case con tipici portali. Risalendo via Libertà si incontra una caratteristica fontana pubblica, decorata da due teste di leone che riversano l'acqua su fonti in pietra. Antistanti sono alcuni palazzetti signorili (Palazzo Spartà presenta la facciata, con il suo disegno di pietre scolpite, senza intonaco, mantiene i caratteri dell'antica edilizia locale). Risalendo la via principale verso l'odierna piazza, di fronte al Monumento ai Caduti, si affaccia il vecchio palazzo del Municipio fortemente degradato. Salendo dalla piazza principale verso il quartiere più alto del paese "i rocchi", detto in questo modo per la massiccia presenza di pietrame nella zona e nelle abitazioni, si può ammirare un antico abbeveratoio, totalmente realizzato in pietra, che presenta una parte adibita al ristoro degli animali e sulla sinistra una fontanella utilizzata dai pastori per bere. All'inizio del paese, dal lato sud, il palazzo della famiglia Papa, composto e suggestivo, con interessanti archi in pietra sulle porte.

Fuori paese, da visitare è il Mulino, raggiungibile in poco tempo da una stradina (prima asfaltata, poi sterrata) che si diparte di fronte al campo sportivo.

Galleria foto Santa Domenica

FLORESTA

Il più alto comune siciliano (1275 metri s.l.m.), immerso nella bellezza del paesaggio dei Nebrodi, con pascoli d’alta quota, boschi, e vedute panoramiche dell’Etna e del mare

CENNI STORICI
Il toponimo Floresta, conosciuta fino a poco tempo addietro come Casal Floresta, si ritiene legato alla sfruttamento in passato dei vicini boschi per l’arsenale messinese (Floresta è la porta ai boschi dei Nebrodi, e da qui (P.lla Mitta) inizia la dorsale che attraversa tutto il Parco da est a ovest). E’ certa l’antica frequentazione del territorio da parte di pastori e mandriani, per la transumanza. Testimonianza di ciò sono i cùbburi, i tradizionali ripari semicircolari in pietra edificati a secco, chiamati localmente pagghiàri 'mpètra (ovvero “pagliai in pietra”), perfettamente inseriti nel paesaggio. Provenendo da S. Domenica Vittoria, da notare, a sinistra, prima di entrare in paese, la caratteristica Rocca di San Giorgio.

Come feudo, Floresta fu prima di Peregrino De Pactis (XIV sec.); poi, pervenne al nobile spagnolo Antonio Quintanas Duegna, “Marchese della Foresta di San Giorgio e Grassetta”, e la figlia Melchiora ne gestì l’abitato. Fu edificata, in quel tempo, la chiesa dedicata a San Giorgio. Dalla fine del sec. XVII al 1812,  il feudo di Floresta fu ereditato da diverse famiglie (Ardoino, Moncada d'Alcontres, Stagno Ardoino, Asmundo). Nel 1820, Floresta divenne comune autonomo.

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Floresta si estende su un declivio esposto a sud, a ridosso del Corso Umberto I (Ss116), su cui si affacciano edifici otto-novecenteschi, con tratti signorili in via Vittorio Emanuele e nelle vie antistanti la chiesa madre, alcuni ben delineati da mensole ed architravi ornati da eleganti motivi fitomorfi e zoomorfi, e balconi in ferro battuto. La muratura presenta blocchi perfettamente squadrati nelle antiche pietre locali, con l'interposizione, tra una pietra e l'altra, di pietruzze, parti di tegole e materiali di risulta che conferiscono alla muratura un gradevole aspetto policromo. Spesso i paramenti in muratura a vista sono segnati da cantonali, ed evidenziano la pietra da taglio utilizzata per portali, finestroni e mensole. Ne è un esempio, in un piccolo slargo antistante la chiesa di Sant’Anna, l’antico palazzo baronale, con portali e finestroni; in via Vittorio Emanuele, lo sono i palazzi Landro e Crimi, e non solo. Alcuni quartieri, poi, rivelano ancora la loro destinazione in passato ad accogliere stalle, laboratori, fienili.

La chiesa madre sorge sulla via principale del paese, nei pressi di quello che fu il palazzo baronale, prospettando sulla piccola piazza Sant’Anna. Risale alla metà del XVIII secolo, fondata dalla famiglia Quintana, al tempo col titolo di San Giorgio. Rimaneggiata nell’Ottocento, ha facciata e campanile serrati entro una schiera di abitazioni. L’interno è a tre navate; conserva il gruppo scultoreo con Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, un crocifisso ligneo settecentesco, un’Addolorata e una scultura lignea di S. Giuseppe col Bambino. Alla sinistra del presbiterio è pregevole la cappella del Sacramento, coperta da una cupoletta ribassata e rivestita di fini stucchi ottocenteschi contenente una Madonna del Tindari nella nicchia di fondo. Caratteristico è il quartiere dove si trova la Chiesa di Sant’Antonio, nella parte nord-ovest dell’abitato, alle spalle del Municipio; la chiesa prospetta su un’ampia piazza e ha paramento esterno in muratura a vista e portale intagliato. All’interno una statua lignea del santo titolare.

Galleria foto Floresta

UCRIA

Incastonato in una verde vallata di noccioleti, ricca di acqua e di boschi, il paese è rinomato per le pregevoli opere d’arte custodite nelle sue chiese e per quanto conservato nei suoi diversi musei

CENNI STORICI
In epoca moderna Ucria fu feudo di diverse famiglie aristocratiche. Come indica il toponimo (in arabo Kerìa, “il villaggio”), però, la sua storia è antica ed è legata alla sua posizione strategica lungo la via che penetrava dal mare l’interno dell’isola. Ritrovamenti archeologici accertano la frequentazione dell’uomo in queste contrade sin dalla preistoria: presso la Rocca di S. Marco, facilmente raggiungibile da un breve sentiero che costeggia una trattoria (a destra provenendo da Floresta) sono stati ritrovati reperti del Paleolitico Superiore; qualche centinaio di metri più in là, visibile dalla strada, si possono notare alcuni “Cubali”, edifici in pietra, fango e ginestra, di forma circolare, che in tempi antichi erano utilizzati dai pastori come riparo nei periodi invernali; infine, attraverso la Pineta Pirato, un parco suburbano di 10 ettari con aree attrezzate, si giunge al sito di Monte Castello (998m s.l.m.), dove un tempo era probabilmente l’antico villaggio, e da dove è possibile ammirare da una parte il mar Tirreno e, dall’altra, la cima dell’Etna, oltre all’ampia vallata caratterizzata dai noccioleti e il centro antistante di Raccuja.

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Dalla Piazza Padre Bernardino si prosegue a piedi per Via R. Baratta e, tra caratteristiche viuzze, scalinate e piccoli slarghi, si giunge alla Chiesa Madre. Riedificata nel 1625 e dedicata a S. Pietro Apostolo, presenta uno stretto sagrato, chiuso da una cancellata di ferro, dove spicca il portale in pietra arenaria di pregevole fattura. L’interno della chiesa è a tre navate, separate da colonne monolitiche e pilastri. L’altare maggiore è del 1668. Il cappellone è stato realizzato come imponente custodia della statua del Signore della Pietà, patrono del Paese. Da notare: la statua della Madonna della Scala, attribuita alla bottega di A. Gagini (secc. XVI), ricavata da un unico blocco di marmo; la statua della Madonna dell’Annunziata. Un dedalo di viuzze ci porta verso la parte bassa del paese e alla chiesa dell’Annunziata (secc. XIV-XVI).

Segnaliamo, tra le altre chiese: quella del SS. Rosario, a monte dell’abitato, costruita tra il 1720 e il 1750 dai frati domenicani; sull’altare maggiore, in una cappella lignea, sono poste le statue della Madonna del Rosario e di S. Domenico; di recente è stato collocato l’imponente mosaico Due Mondi a Confronto dello scultore Nico Nicosia; il campanile presenta una cuspide maiolicata colorata di bianco e azzurro; accanto alla chiesa, i suggestivi ruderi dell’antica chiesa della Madonna della Scala, notevolissima per le ricche rifiniture del portale.

Di recente, Ucria è conosciuto anche come il “Paese dei Musei”. Sono, infatti, presenti sul territorio comunale:  il Museo Pedagogico delle Arti e della Creatività giovanile, con opere degli studenti di tutta Italia e dei paesi mediterranei; il Museo dell’Arte popolare, che contiene reperti della tradizione popolare; il Museo Etnologico delle maschere di cartapesta “Gianpistone” (ne contiene circa 500), il Museo Etnostorico dei Nebrodi “Antonino Gullotti”, il più antico dei cinque, che contiene attrezzi di lavoro del mondo contadino e pastorale nebroideo.

Galleria foto Ucria

TORTORICI

Ampio territorio comprendente ben 72 borgate in una suggestiva vallata dalla storia antica

CENNI STORICI
Il paese vanta illustri origini: in epoca medievale fu feudo dei Pollichino e quindi dei Moncada e dei Mastrilli. Nel 1630 divenne città demaniale fregiandosi del titolo di "Fidelis et Victoriosa Civitas", con un giurisdizione su un ampio territorio. La città, infatti, visse i suoi momenti di maggiore splendore nei secoli XVI-XVII e XVIII, quando si sviluppò un fiorente artigianato artistico. L’arte della fusione del bronzo è quella che ha dato maggior prestigio e notorietà a Tortorici. Questa, poi, è la terra del pittore Giuseppe Tomasi (sec.XVII), i cui dipinti sono presenti in molte chiese di Sicilia. Del Novecento è l’attività produttiva prevalente delle nocciole, come prima lo era stata quella della seta. Il declino di Tortorici ha seguito lo sviluppo delle cittadine costiere tirreniche.

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Iniziamo la nostra passeggiata a Tortorici dalla piazza principale del paese, punto di passaggio obbligato da qualsiasi provenienza. Da qui è possibile ammirare la Chiesa di San Nicolò, e l’antistante grande abete piantato per celebrare la nascita del figlio di Mussolini (viene, infatti, chiamato l’"Albero di Mussolini"). Proseguendo si arriva in piazza Faranda, dove è la Chiesa di San Salvatore e in cui sono custoditi alcuni quadri di Giuseppe Tomasi. Accanto alla chiesa troviamo una stretta stradina. Da qui, salendo i gradini di una ripida scala, arriviamo davanti alla Chiesa dell’Annunciazione detta la Badia (all’interno sono custodite diverse statue cinquecentesche dei Gagini). Per un arco giungiamo in Via Lo Giudice, una delle vie principali del suggestivo centro storico, fatto di un dedalo di viuzze con la tipica struttura urbanistica medievale assunta nel periodo feudale: strette strade acciottolate, archi, antichi sottopassaggi, cortili e scalette hanno un fascino tutto particolare, oltre a vetuste e imponenti case e portali bugnati. Alla fine della via Lo Giudice si giunge in Piazza Duomo. Di fronte si può ammirare un maestoso monumento nazionale: la Chiesa di San Francesco o del Convento (sec. XVII, monumento nazionale) con annessi campanile e convento dei Francescani che qui aprirono una scuola di filosofia e teologia. Sempre sulla piazza sorge la settecentesca Chiesa di S. Maria Assunta con pregevole campanile dalle antiche fondamenta. Nelle cui vicinanze vi è la Chiesa di S. Biagio con arco medievale. Ritornando verso l’attuale centro, per via Roma e costeggiando il fiume, si può notare il muro della curva di Santa Miritana (Emerenziana) realizzato nel 1927 durante il fascismo. Deviando sulla destra si osserva la suggestiva facciata della Chiesa di S. Emerenziana già esistente nel 1607, storicamente importante perché la chiesa sorge su uno spuntone di roccia e non è stata travolta dalla tragica alluvione del 1682, che decimò la popolazione. Sul Ponte di Romanò si nota la facciata della Chiesa della Misericordia, con una porta in legno realizzata da maestranze locali. All’interno si trova il dipinto di Santa Maria della Misericordia (sec. XVIII). All’interno del Palazzo Comunale è la Pinacoteca, che conserva vari dipinti di artisti oricensi e il quadro di S. Caterina d’Alessandria di Giuseppe Tomasi; sono anche presenti le due mazze d’argento dorate che vengono portate in corteo in occasione della festa patronale di S. Sebastiano. Al terzo piano del palazzo Municipale è stato inaugurato il 5 giugno 2004 il Museo Etnofotografico “Franchina Letizia”. Attraversando per pochi metri Piazza Faranda troviamo la “Pietra della Pittima”, dove, secondo un’antica pratica che avveniva a Tortorici, un debitore che non poteva permettersi di restituire i soldi doveva umiliarsi pubblicamente. La spiegazione di tale pratica è riportata sull’epigrafe che sovrasta la pietra. Il Museo Etno-antropologico “S. Franchina” è stato inaugurato nell’agosto 1998. Prima di concludere l’itinerario è d’obbligo una visita alla storica Fonderia Trusso, dove è stato allestito un museo.

Galleria foto Tortorici

RACCUIA

La grande contea dei Branciforte

CENNI STORICI
Le origini del paese di Raccuja si fanno risalire alla fine del XI secolo. Si narra che il conte Ruggero d’Altavilla si trovò a combattere nella valle antistante contro i Saraceni, e che qui fondò il monastero di San Nicola, poi dallo stesso conte affidato ai monaci basiliani con la donazione delle terre circostanti. A quel tempo risale l’insediamento alle falde di monte Castagnerazza.
Il nome di Raccuja (lat. Raccudia) compare per la prima volta in un documento datato 1271.  In quel periodo il borgo si estese alla zona sottostante, più pianeggiante e meglio edificabile, con la costruzione di torri e chiese.

A partire dall’anno 1296 il possesso regio di Raccuja venne venduto alla famiglia Orioles, che tenne il potere sino al 1507. In questi secoli si ingrandì il castello e fu edificata la chiesa di San Pietro, costruita intorno all’importante torre medievale che, al suo interno, sopra una colonna, reca inciso l’emblema degli Orioles. Nella metà del Cinquecento, dopo diversi passaggi feudali, la terra fu riscattata dalla potente famiglia dei Branciforti ed elevata a Contea. Fu edificata la Chiesa Madre e costruiti i palazzi più imponenti e ricchi del borgo (intorno all’attuale Piazza XXV aprile) e vi si insediarono diversi ordini monastici. La produzione principale fu il commercio della seta. Dal 1812 Raccuja si trovò sciolta dai secolari vincoli feudali: tutti i possedimenti dei Branciforti furono acquistati dalle più abbienti famiglie del luogo. Il Novecento si aprì, per Raccuja, con un’altra “età dell’oro”: nel 1906 Francesco Paolo Picardi fu ministro dell’Agricoltura del nuovo governo Giolitti. Sotto la dittatura fascista Raccuja registrò il massimo numero di abitanti mai raggiunto (5012).

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Il Castello Branciforti, su preesistenze medioevali, si erge nella parte alta del centro abitato, in una posizione fondamentale per il controllo della trazzera Regia che passava lì vicina. All’esterno la struttura si presenta come un massiccio edificio quadrangolare, fiancheggiato da due torri circolari, delle quali una crollata. Le porte d’accesso al piano terra furono aperte nel XIX secolo, quando la struttura venne trasformata in carcere. Imponenti finestroni si aprono nella parte alta. Il piano terra e il piano superiore sono messi in collegamento da un grande scalone in pietra arenaria. Da un grande portale, sovrastato dallo stemma marmoreo dei Branciforti, si entra nella sala di rappresentanza, l’aula più vasta all’interno della struttura, ingentilita da un camino e da una volta a lunette sorrette da peducci in arenaria. Dal lato monte si apre, infine, la vasta corte interna, nella quale si trova un antico pozzo di probabile fattura romana.

La quattrocentesca chiesa di San Pietro, fondata per volere del barone Berengario Orioles, è stata addossata ad una antica torre d’avvistamento sulla vallata del Sinagra. Rimaneggiata nel Settecento, presenta due navate e un tabernacolo seicentesco

Nella collina a Nord dell’abitato di Raccuja sorge il cinquecentesco convento dei Minori Osservanti di San Francesco di Paola, dedicato all’Annunziata. Del convento resta solo il vecchio pozzo, posto al centro del chiostro, mentre si conserva la preziosa chiesa, ad una navata e con un bel portale. Oltre alla chiesa dei Carmelitani Calzati (sec. XVII), segnaliamo l’antico monastero basiliano di San Nicolò, uno tra i più floridi del Val Demone, con diverse chiese suffraganee. La chiesa si presenta ad una navata, e all’interno è abbellita da un grande arco trionfale in arenaria, scolpito a motivi floreali; conserva, inoltre, una preziosa tela, raffigurante il martirio e l’estasi di San Basilio Magno, del XVII secolo. Il monastero fu trasformato, dopo il 1866, anno della chiusura, in abitazione privata.

Galleria foto Raccuia

MONTALBANO ELICONA

Borgo di grande pregio architettonico e ambientale, in una zona da sempre strategica tra le valli orientali dei monti Nebrodi e i Peloritani, dominato dal magnifico castello, scelto come dimora dai reali svevi e aragonesi

CENNI STORICI
Furono i Bizantini, nel IX sec. d.C., a fortificare il sito della rocca, già esistente in epoca romana; dopo pochi anni, cadde in mano agli Arabi. Con i Normanni arrivò qui una colonia lombarda, che segnò anche il dialetto del luogo. Concesso in dote, nel 1211, da Federico II a sua moglie Costanza d'Aragona, nel 1233 fu distrutto per essersi ribellato all’imperatore. Fu comunque lo stesso Federico II a ricostruire il castello, data l'importanza del luogo. Montalbano venne elevato a contea sotto re Manfredi. La sua età dell'oro è però quella di Federico II d'Aragona, all'inizio del Trecento, che vi si stabilisce, ingrandendo ulteriormente il Castello ed edificando nuove mura; e, soprattutto, donandogli l’aspetto residenziale che lo contraddistingue ancora oggi. Dalla fine del Trecento il castello di Montalbano divenne feudo di importanti famiglie che già possedevano diversi territori tra il versante nord orientale dell’Etna e la costa jonica. Per un breve tempo dei Cruyllas, poi dei Colonna-Romano, infine dei Bonanno, sotto i quali il feudo fu elevato pure a ducato (1623), che ne agevolarono una nuova riorganizzazione ed espansione urbanistica. Per il successivo declino economico di questa nobile famiglia, il castello passò alla Compagnia di Gesù nel sec. XIX, che lo tenne fino all’Unità d’Italia (1861).

PASSEGGIATA NEL CENTRO STORICO
Il centro storico si sviluppa su di un monte, come indica il toponimo, e domina la valle dove scorre il torrente Elicona, in un territorio da sempre particolarmente strategico (e ben difeso), perché lungo le brevi vie interne di collegamento tra la zona jonica-etnea con la costa tirrenica (Tindari), passando per il territorio appartenente all’antica città di Abacena, e dove, già in epoca preistorica, è frequentato l’altipiano dell’Argimusco, a oltre 1000m d’altitudine, il più grande e importante sito archeo-astronomico di Sicilia, da dove, tra l’altro, si domina il centro abitato.

Il castello e la chiesa madre costituiscono il vertice di Montalbano, a seconda se si guarda il paese rispettivamente dall’interno o se si giunge dal mare. La parte di Montalbano che incontriamo entrando in paese è frutto dell’espansione urbanistica degli ultimi due secoli a ridosso di Piazza Maria SS. Della Provvidenza, dove si erge il Santuario omonimo, adiacente al Palazzo comunale (un tempo unico complesso conventuale di S. Domenico). All’interno della chiesa, la statua della Madonna (sec.XVIII) che viene portata in processione sulla vara il 24 agosto di ogni anno. Si lascia Corso Umberto e, oltrepassando l’ex chiesa di S. Giovanni, ci si addentra nel centro storico per via Federico II, seguendo le indicazioni per il Castello. Subito, su via Mastropaolo, s’incontra sulla destra Palazzo Aloisio (sec.XX) e Casa Ballarino (già Messina), con pregevole portale barocco. A sinistra, su uno slargo discreto prospetta la chiesa di S. Caterina d’Alessandria (sec.XIV), con bel portale romanico. All’interno, la notevole statua di S. Caterina, opera gaginesca (sec.XVI), con bassorilievi raffiguranti momenti della vita della santa. Costeggiando le mura del Castello, si giunge ad uno slargo: a destra è il bel portale settecentesco di Casa Miligi (già Mastropaolo).

La Chiesa Madre (Basilica Minore), dedicata a S. Nicola, patrono di Montalbano, di origine medievale, fu ristrutturata nel XVII sec., con l'aggiunta delle navate laterali e del campanile. All'interno, pregevoli marmi nei pavimenti e nell’altare maggiore; un baldacchino settecentesco con L’Ultima Cena dipinta da D. Salvatore Ponce de Leon; nell'altare sinistro, un prezioso Crocifisso ligneo del XVI sec.; nell'altare destro, la statua marmorea di S. Nicola di Bari (1587), attribuita a Giacomo Gagini, e un ciborio, anch’esso gaginesco. Proseguendo per via Castello giungiamo al Castello medievale. Di origine bizantina, poi arabo, il fortilizio fu ingrandito e ampliato dai Normanni (nella parte alta, sulla rocca); ebbe mura fortificate in età sveva  (nella parte bassa), e una risistemazione della corte interna (cisterna, 1270) anche sotto gli Angioini. Fu la ristrutturazione di Federico II d'Aragona a fare del Castello (e della muraglia sottostante) la propria residenza reale per i soggiorni estivi, e una struttura tra le più armoniose, tra quelle medievali presenti in Sicilia. Lungo la fortezza, sopra le feritoie, vengono aperte diciotto grandi finestre. Di tutti questi interventi è possibile ancora oggi seguirne le impronte nei diversi stili architettonici.

L’itinerario prosegue per stradine di Montalbano, dove apprezzare le case costruite con la caratteristica pietra, le piccole botteghe, i portali. Per via Federico II e via Spirito Santo (qualche vicolo sotto l’ingresso del castello) si giunge alla chiesa dello Spirito Santo, con pregevole portale romanico (sul modello di quello della chiesa di S. Caterina). Tra le belle viuzze, archi e case ristrutturate, si risale e, attraversato l’arco nei pressi di Palazzo Todaro, si giunge al Belvedere Portello. Dalla Basilica si ritorna su via Mastropaolo. Un deviazione da questa, all’altezza delle mura del Castello, ci permette di rientrare dagli archi di c.da Riva.

Il sito archeo-astronomico dell’Argimusco
Nel territorio di Montalbano Elicona ricade un’ampia area dove sono presenti megaliti, che si ritiene facciano riferimento al sito archeo-astronomico dell’Argimusco, unico per bellezza e caratteristiche in Sicilia. La disposizione di queste grosse pietre presenta un ordinato allineamento con gli astri e con alcuni elementi altamente simbolici del paesaggio circostante, come l’Etna e le isole Eolie. E, a seconda dell’ora della giornata e dal contrasto luce-ombra, alcune figure appaiono più evidenti di altre. Si ritiene che, in epoca preistorica, qui si celebrassero riti di fecondità legati al culto della dea madre. Le grandi pietre arenarie, caratteristiche di questa parte dei Nebrodi, dovettero prestarsi alla costituzione di calendari astronomici per la determinazione di solstizi ed equinozi, con riferimenti mediante menhir (le pietre più lunghe). Altri elementi naturali sono stati rimaneggiati dall’uomo e adattati. I menhir subito dopo l’ingresso rimandano al culto per la fecondità e si trovano presso una fonte; l’Aquila, per il suo valore simbolico, indica il culto dei morti (nei pressi è una necropoli costituita da dolmen (tavole di pietra) e numerosi cubburi); dell’Orante se ne apprezza nitido il profilo nel pomeriggio; numerose sono i volti rimaneggiati, spesso con molteplici profili.

Itinerario dei Tholos.
Tutta la zona - non solo a Montalbano, ma anche S. Piero Patti, Raccuja, Ucria, Floresta - è disseminata di cubburi, costruzioni in pietra dalla struttura a tholos, legati al sistema della vita agro-pastorale. Sono tutti indicati da segnaletica verticale.

Riserva Naturale Orientata Bosco di Malabotta.
Al confine con l’area dell’Argimusco, tra i Monti Nebrodi e i Peloritani, diversi habitat naturali, eccezionali per integrità e biodiversità, e grandi querce secolari.

Galleria foto Montalbano Elicona

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